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Il domatore di Fiumi
 
Silvio Corradi, come abbiamo visto, aveva grande intuito e capacità di dialogo. Sapeva dialogare con la gente, trasmettendo in maniera semplice messaggi talvolta anche molto complessi. Sapeva dialogare con la natura, in quell'ambiente rurale in cui era cresciuto e che amava visceralmente, che osservava in ogni dettaglio, dal moto dei corsi d'acqua a quello dei pianeti.

Ed aveva sviluppato anche il dialogo con se stesso, con il proprio corpo, con le proprie capacità fisiche, rafforzando quella che oggi molte discipline mediche e, più in generale, scientifiche chiamano "consapevolezza del sé". Questa sua passione per i meccanismi più complessi dell'Universo lo portava a vedere il corpo umano non come "isola", ma come parte di un tutto e, per questo motivo, con degli equilibri e delle regole da rispettare.

A tale proposito, è particolarmente bello un passo preso da un'intervista del 1954, in cui Silvio Corradi commenta: "L'organismo umano non è più rispettato nelle sue possibilità e nelle sue esigenze fondamentali ma è costretto ad adattarsi a indirizzi e condizioni di vita artificiosi e sempre più lontani dalle sue leggi naturali. La funzione più danneggiata è quella respiratoria, proprio quella che sta alla base e condiziona tutte le altre. E non solo per mancanza di lavoro muscolare ma, specialmente, per l'aria inquinata che l'uomo è costretto a respirare".

Già solo in queste parole si percepisce quanto Silvio Corradi fosse avanti al proprio tempo; oggi si parla di disturbi da stress, di ritmi di vita alienanti, di allarme-clima, di inquinamento sopra i livelli di guardia... Tutte queste cose Silvio Corradi le diceva già oltre mezzo secolo fa.
 
Ma purtroppo Silvio Corradi non era un medico e fu, quindi, costretto a pubblicare tante teorie frutto dei propri studi e della propria osservazione del corpo umano a nome della sorella, la dottoressa Anna Corradi, in possesso di due lauree (chimica e farmacia) e direttrice della farmacia dell'ospedale di Varese. Essa presentò queste teorie, in cui credeva fermamente, dopo essersi spesso confrontata in merito con suo fratello, in diversi congressi medici e scientifici, a partire da quello di Lucca del 1950. Partiamo da un interessante antefatto: nel 1945 a Silvio Corradi, già cinquantacinquenne, furono diagnosticati gravi problemi cardiaci. In quel momento iniziò a studiare con attenzione il corpo umano e le malattie. Con il piglio determinato che lo contraddistingueva, Silvio Corradi dichiarò: "Se devo morire, lo farò a modo mio". Si trasferì a Varese dalla sorella Anna, con la quale aveva sempre avuto un continuo scambio di tesi, opinioni, teorie, e iniziò a mettere in pratica ciò che era stato a lungo oggetto delle sue meditazioni.

Silvio Corradi iniziò a sottoporsi ad esercizi di "ossigenazione forzata". Ogni giorno, nel grande parco cittadino di Varese, mise in atto pratiche respiratorie studiate per immettere quanto più ossigeno possibile nel corpo. Contemporaneamente rifiutò di assumere qualsiasi farmaco che gli fosse stato prescritto. Ad un successivo ciclo di esami risultò che i suoi valori cardiaci erano rientrati tutti nella norma. La prima prova tangibile, peraltro già avvertibile a prima vista, di un attuato ringiovanimento cellulare, fu nella ricrescita dei capelli che, ormai totalmente bianchi da tempo, ritornarono in buona parte scuri.

Lo studio delle malattie tumorali era uno dei temi di maggiore interesse per Silvio Corradi che, comunque, con la sua consueta umiltà, non intendeva imporre le sue teorie ma, ancora una volta, voleva stimolare un dibattito costruttivo e positivo con la medicina ufficiale. Egli sosteneva che una buona ossigenazione delle cellule fosse in grado di prevenire il cancro e, in alcuni casi, di attivare una sorta di "purificazione" che potesse, in buona parte, arginarlo o sconfiggerlo. Oggi, a molti anni di distanza dalle teorie di Silvio Corradi, sappiamo che sono in aumento le medicine alternative che, predicando una buona consapevolezza del proprio equilibrio corpo/mente, sostengono che si possano sconfiggere anche patologie gravi mediante l'autodisciplina e l'auto-ossigenazione. Non a caso, questo acuto osservatore aveva già notato come "l'occupazione intensa del pensiero, le ansie, i patemi d'animo di una vita febbrile priva di serenità, sono tutti fattori inibitori della respirazione, finiscono per abituare il fisico a quel mezzo respiro appena sufficiente a mantenerlo in vita. L'ansia ed il dolore o lo stesso fisico provocano ogni tanto un sospiro, cioè un atto respiratorio profondo che denuncia come l'organismo è indotto al limite della sopportazione" (da un articolo pubblicato su "La Gazzetta di Parma" nel 1955). Inoltre, a distanza di pochi anni dalla enunciazione delle sue teorie, vi furono diverse équipe mediche che in laboratorio trasformarono una cellula da sana a tumorale semplicemente sottraendole ossigeno, ennesima riprova scientifica di qualcosa che Silvio Corradi aveva già acquisito procedendo, secondo un suo sistema consolidato, per esperimenti pratici. Tra questi ricercatori vi erano anche i Premi Nobel per la fisiologia e medicina Otto Heinrich Warburg e Gerhard Domagk, entrambi tedeschi.

Ma non soltanto: a Los Angeles, nel 1953 (quindi da tre a otto anni dopo l'inizio degli studi di Silvio Corradi), lo staff del professor Henry Goldblatt valutò in maniera pratica come soltanto un mancato afflusso di ossigenazione, senza l'induzione di elementi chimici o cancerogeni, potesse "uccidere" una cellula, mutandola in una cellula malata. Inutile dire che, come già era avvenuto diversi anni prima in merito al progetto di "Pioggia Artificiale", tutti coloro che si ispirarono alle teorie di Silvio Corradi puntarono a "riproporle" come proprie, evitando di citare quella che, in realtà, era una fonte evidente a cui avevano attinto. Restarono così soltanto i molti articoli che la stampa italiana dell'epoca aveva dedicato all'argomento a testimonianza dell'onestà e della buona fede del ricercatore parmense. E, a riprova della fiducia riposta dalla dottoressa Anna Corradi nelle teorie di suo fratello, è doveroso notare che l'ospedale di Varese fu il primo in Italia a dotarsi in tutte le camere di un dispositivo per l'erogazione di ossigeno sopra ogni letto, soluzione oggi adottata da tutti gli ospedali del mondo.